«Amalfi è di calce, è di un bianco latteo sotto la roccia che le pesa addosso nuda».
Così scrisse Giovanni Marotta dopo aver rivisto le «tiranniche bellezze» della città. Chissà cosa avrebbe narrato dopo averne assaggiato i sapori della cucina che assale, inebria e rapisce palati.
A mezzadria fra tradizione e innovazione la gastronomia amalfitana segue il solco delle antiche glorie ottenendo ogni anno riconoscimenti da guide specializzate e indomabili gourmet alla ricerca di memorabili escursioni di gusto. Già, perché ad Amalfi si arriva anche per gustare e assaporare nella suggestione del giorno e della notte. Su terrazze che si spalancano come anfiteatri sul mare o sotto i pergolati di terrazzamenti scavati lungo i fianchi delle rocce. Mare e monti qui sono un tutt’uno.
Ma le anime, grazie a Dio, restano ancora due: quella contadina, operosa e silente, l’altra marinara, scanzonata e vociante. Insieme, lungo questo lembo di terra, animano ancora oggi la cucina amalfitana. Internazionale, grazie proprio ai prodotti di questa terra. A cominciare dal pescato. L’attività, anche se non redditizia, viene praticata in luoghi suggestivi e immacolati, incastonati ai piedi di quei ripidi pendii di montagna arsi di sole. Qui, all’alba, c’è ancora qualcuno che spinge in mare i propri lanzini per recuperare reti e coffe calate il giorno prima. Una gioia vedere saltellare alici e pesci bandiera, spigole e pesci limone, gamberi e cicale.
Ed è proprio grazie ai pescatori se la cucina amalfitana si è trovata in eredità ricette e intingoli da proporre, con attente rivisitazioni, a gourmet e appassionati. Come ad esempio la colatura di alici, la cui scoperta avvenne probabilmente intorno alla seconda metà del XIII secolo, ad opera dei monaci cistercensi abitanti della canonica di S. Pietro a Tuczolo.
Qui, nell’attuale albergo Convento, l’esubero di pescato conferito ai monaci come dazio per il tiraggio a secco delle barche sull’arenile, spinse alla salagione in vecchie botti con le doghe scollate. Ne fuoriuscì un liquido che solo la sapienza del frate cuciniere consigliò di utilizzare. E oggi sono decine gli chef in tutto il mondo che non rinunciano a questo intingolo per le loro creazioni. E c’è qualcuno di essi che da Amalfi riparte sempre con una boccettina di colatura artigianale e una bottiglia di limoncello artigianale.
Fa scuola, dunque, con i suoi prodotti la cucina amalfitana. Anche a chi non ha certo bisogno di prendere lezioni.
(Testo di Mario Amodio tratto dalla prefazione al libro di Maristella Di Martino – Le Ricette della Costa d’Amalfi)